DOTTORESSA PUCCIA MARRA

Una parte del nostro progetto era mirato alla diagnosi precoce dei bambini con malattie renali sul territorio e quindi, attraverso cure adeguate a promuovere la prevenzione della insufficienza renale cronica e della dialisi…

“Tutto è cominciato il 12 Maggio del 2002 quando sono arrivata Managua dopo un lunghissimo volo durato più di 20 ore. Era il giorno del mio compleanno e la Dott.ssa Mabel mi accoglieva in aeroporto con un piccolo omaggio. Io e lei già ci conoscevamo perché avevamo lavorato insieme per più di un anno durante il suo soggiorno presso il nostro reparto di nefrologia a Milano. Conoscevo la realtà del Paese solo attraverso i suoi racconti.  Anche per questo avevo accettato con entusiasmo l’incarico che il Prof. Sereni mi aveva assegnato. Questo viaggio rappresentava per me l’opportunità di conoscere un mondo diverso dal mio e di dare un piccolissimo contributo. Partivo tranquilla perché sapevo di lasciare la mia famiglia con grande serenità ed i miei pazienti in buone mani.

Il nostro progetto era allora solo all’inizio, pieno di incertezze sul futuro, ma già cominciava a prendere forma. L’obiettivo del mio viaggio era quello di costruire un database che raccogliesse i dati dei bambini con malattie renali croniche, insieme ai medici del reparto, a cui poi sarebbe tornato utile. Avevamo bisogno di conoscere le malattie più frequenti, i sintomi con cui si presentavano, le maggiori complicanze e gli esami eseguiti per arrivare alla diagnosi. Questi dati erano per noi preziosi per una migliore comprensione della loro realtà, dei loro bisogni e ci avrebbero indirizzato ad allocare al meglio le poche risorse allora a disposizione. In un Paese così diverso dal nostro dal punto di vista geografico, climatico, e con risorse economiche scarse, alcune patologie potevano risultare non diagnosticate per mancanza di mezzi, ed altre potevano essere presenti con maggiore frequenza o con complicanze più gravi.

Inoltre, il database avrebbe costituito un importante mezzo di comunicazione e di lavoro comune tra i nostri due gruppi, in quanto ogni tre mesi avremmo potuto discutere insieme i dati aggiornati.  In Nicaragua, non solo non esisteva né dialisi né il trapianto pediatrico ed i bambini con insufficienza renale erano destinati a morte certa, ma anche alcuni farmaci essenziali o gli esami diagnostici più semplici, da noi in Italia di facile reperimento, non erano disponibili.

Nel corso degli anni successivi il progetto è cresciuto, ha raggiunto una serie di obiettivi, primo tra questi il programma di dialisi e trapianto nell’ospedale di Managua, che anni dopo è stato preso in carico dalle istituzioni Nicaraguensi. In contemporanea, il progetto si è esteso sul territorio per potenziare gli ospedali dei principali dipartimenti del Paese. In ognuno di questi si era individuato e responsabilizzato un pediatra con maggiore interesse nel campo delle malattie renali, che munito di un piccolo budget, poteva accedere ad esami diagnostici non a disposizione dell’ospedale e attraverso il database forniva informazioni sulla sua casistica a Milano e Managua. Il legame tra noi, il centro Managua ed i pediatri referenti degli ospedali è cresciuto nel tempo anche attraverso corsi di nefrologia itineranti e riunioni periodiche per sensibilizzarli sui problemi inerenti alle patologie di ciascun dipartimento. Abbiamo viaggiato in lungo in largo nel paese e conosciuto meglio la sua realtà territoriale ed arricchito anche il nostro bagaglio culturale ed umano. Questo aspetto del progetto era mirato alla diagnosi precoce dei bambini con malattie renali sul territorio e quindi, attraverso cure adeguate a promuovere la prevenzione della insufficienza renale cronica e della dialisi, fase terminale di tutte malattie renali croniche quando non adeguatamente diagnosticate e trattate. Tutti questi obiettivi sono stati perseguiti con trepidazione, impegno e passione da parte di tutti noi, qualche volta anche con discussioni molto animate, come in tutte le migliori famiglie!

I miei viaggi in Nicaragua si sono ripetuti ogni 6 mesi circa per più di 10 anni, quasi sempre in delegazione con gli altri componenti del nostro gruppo.
Ma il mio primo viaggio, una full immersion da sola di tre settimane, ha rappresentato per me, oltre che una sfida, anche una esperienza entusiasmante ed indimenticabile sotto tanti aspetti professionali e umani.

Il Paese è povero e ha superato le traversie di una guerra civile negli anni ’70 ma, tra le persone comuni vi è una grande senso di appartenenza con la consapevolezza della propria storia, cosa che manca talora dalle nostre parti. Io in quelle tre indimenticabili settimane ho vissuto come una di loro, la partecipazione alle riunioni di reparto mi ha fatto capire che, nonostante gli scarsi mezzi diagnostici, la cultura dei medici era di un buon livello e permetteva di usare un linguaggio comune.

L’ospitalità e la gentilezza dei colleghi e soprattutto di Mabel, che mi ha aperto la sua casa, non mi hanno mai fatto sentire sola in quelle tre settimane. Nei giorni festivi ho visitato alcune città coloniali, i loro mercati variopinti, e più di tutti il mitico mercato Huembles di Managua. Ho conosciuto le spiagge e l’insicuro oceano Pacifico. Ho goduto della loro musica nei locali più tipici, della cucina locale ed ho apprezzato l’ottimo rum del Nicaragua “Flor de Cana”. A quei tempi non esistevano i cartelli pubblicitari nelle strade, le vie della città non avevano un nome e si individuavano in base alla vicinanza con un punto cospicuo, come per esempio terza calle e destra dopo il distributore di benzina Exon.

Ricordo tanti bambini e alcune delle loro storie: rivedo con commozione quella bambina di circa due anni e mezzo, trovata in aeroporto piangente, senza genitori, che da due mesi era ricoverata nel reparto ed era in uno stato di disperazione. Inavvicinabile da infermieri e medici, si è poi pian piano sciolta grazie all’aiuto di un’altra bambina (poco più grande) anche lei ricoverata, che l’accudiva come una mamma.”